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Nozione di pertinenza e disciplina del titolo.-
Nozione di pertinenza e disciplina del titolo
Consiglio di Stato , sez. IV, sentenza 08.08.2006 n° 4780

Si intendono per pertinenze, ai sensi dell’art. 817 del codice civile, "le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa", cioè – secondo la unanime rappresentazione che di tali opere è fatta – quelle non costituenti in opere autonome ma in una pertinenza dell’immobile già esistente.
In questo senso si è espressa la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, in una vicenda nella quale il ricorrente si era visto opporre diniego di rilascio di titolo edificatorio in quanto l’opera che intendeva realizzare (in questo caso, una piscina all’interno della proprietà privata di cui è titolare) non era ritenuta dal Comune una pertinenza, accessoria al fabbricato ad uso abitativo già esistente, bensì un autentico manufatto configurante una nuova edificazione.
Con la decisione che segue, i Giudici di Palazzo Spada hanno dunque chiarito che, anche nel diritto dell’urbanistica e dell’edilizia, il concetto di pertinenza è e rimane quello delineato dall’articolo 817 del Codice Civile, ed è perciò illegittimo il diniego che venisse opposto all’istanza di rilascio del titolo basandosi sulla qualificazione di “nuova edificazione” anziché di manufatto pertinenziale a servizio di un bene già esistente.
A livello normativo, del resto, è noto come – oltre alla definizione che ne offre la fonte civilistica – il  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=3600" D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 escluda espressamente le pertinenze dalla definizione di “nuova edificazione” ove stabilisce che sono «"interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali: [...] la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali» (articolo 3, lett. e), sotton. e1)) che di questi possono considerarsi nuove costruzioni solo quelli «che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale».
Ovviamente, è noto al lettore che, ove non si configurino quali nuove edificazioni nel senso di cui si è detto, le pertinenze sono sottratte al regime della concessione edilizia (rectius, permesso di costruire).
Invero, sull’argomento si registrano numerosi e diversi orientamenti, caratterizzati da sfumature di posizioni anche molto distanti: si va dalla Corte di Cassazione (ad esempio, si legga la sentenzqa della III sezione penale, n. 26197/2003) – a tenore della quale il permesso di costruire è necessitato per tutti quegli interventi che comportino la realizzazione di fabbricati che si elevino al di sopra del suolo ma anche di quelli che, pur interrati, costituiscono modificazione permanente e durevole dello stato dei luoghi – al Consiglio di Stato (ex multis, sentenza della V sezione, n. 2575/2002) – per il quale le opere pertinenziali sottostanno al regime della concessione edilizia solo laddove vadano ad essere eseguite nell’ambito di zone soggette a regimi vincolistici (paesistico, ambientale o idrogeologico).
Ma anche nella stessa giurisprudenza amministrativa non mancano le interpretazioni divergenti, per cui alcuni sostengono la necessità di un titolo c.d. “forte” quale il permesso di costruire (ex multis, T.A.R. Lazio Roma, sezione I bis, sentenza 17 novembre 2005 nonché sezione II ter,  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=4398" sentenza 20 giugno 2003, n. 2737) e altri si limitano a ribadire la necessità del rilascio di un titolo autorizzatorio (quale interpretazione maggioritaria, T.A.R. Campania Napoli, sezione II, sentenza 2 luglio 2004, n. 9876 nonché T.A.R. Veneto. Sezione II, sentenza 27 luglio 2002, n. 3719).
Tuttavia, anche in considerazione delle logiche imposte dalla norma, non pare non si possa che aderire alla posizione espressa ancora una volta dal Consiglio di Stato.
(Altalex, 20 ottobre 2006)

Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 8 agosto 2006, n. 4780
(Pres. Riccio, Est. Mele)
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4691/05, proposto da
Z. W.,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicola Marcone e Pier Vettor Grimani ed elettivamente domiciliata presso il primo, Roma, via Mercalli, 15;
C O N T R O
IL COMUNE DI CAVALLINO TREPORTI,
non costituitosi in giudizio;
PER L’ANNULLAMENTO
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, sez. II, n. 94 del 17 gennaio 2005, resa "inter partes".
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalla parte a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 28 febbraio 2006, il Consigliere Eugenio Mele;
Udito l'avv. Marcone Nicola;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
L’appellante impugna la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha rigettato un ricorso proposto dalla stessa contro un diniego del Comune di Cavallino Treporti del rilascio del permesso di costruire una piscina, in pertinenza di un immobile di sua proprietà.
Contro la suddetta sentenza sono individuate le seguenti censure:
1) Violazione dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nonché travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, illogicità e contraddittorietà; in quanto il giudice di primo grado ha omesso di prendere in considerazione le censure formulate in quella sede dalla ricorrente.
Era stato, infatti, rilevato che, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 171 del 1973, il parere (nella specie, favorevole) della Commissione per la salvaguardia di Venezia è vincolante ai fini del rilascio del permesso di costruire, senza che al Comune residui un potere di atteggiarsi diversamente.
Né, nella specie, l’Amministrazione comunale ha proceduto al diniego per vicende diverse da quelle prese in considerazione dalla Commissione per la salvaguardia di Venezia, andando soltanto in contrario avviso.
2) Ulteriore violazione dell’art. 26 della legge n. 1034 del 1971, nonché travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione, per aver omesso il primo giudice di pronunciarsi anche sulle ulteriori censure.
E ciò in quanto nel provvedimento impugnato mancava qualsiasi seria motivazione.
3) Ancora violazione dell’art. 26 della legge n. 1034 del 1971, errata valutazione dell’art. 76 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, violazione degli artt. 8 e 9 del regolamento edilizio comunale, violazione dell’art. 31 delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale, violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, nonché travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e della motivazione, essendo ammissibi...

... continua
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