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QUESITO N . 417: Se in caso di decesso del locatore il contratto passa direttamente agli eredi o bisogna stipularne un altro? Se la destinazione d’uso promiscuo dell’immobile viene meno con il mutamento di residenza dell’inquilino.
QUESITO N . 417 Se in caso di decesso del locatore il contratto passa direttamente agli eredi o bisogna stipularne un altro? Se la destinazione d’uso promiscuo dell’immobile viene meno con il mutamento di residenza dell’inquilino. Se è necessaria l’autorizzazione del locatore per la concessione parziale in comodato dell’immobile.

Il contratto di locazione è definito dal legislatore, all’art. 1571 c.c., come il contratto con cui una parte si obbliga, a fronte del pagamento di un corrispettivo, a far godere un bene mobile o immobile per un determinato periodo ad un’altra parte.
La locazione rappresenta un rapporto giuridico avente natura patrimoniale, trasmissibile sia per atto inter vivos, che mortis causa.
Il contratto di locazione, dunque, non viene meno con la morte di una delle due parti contrattuali, ma determina una mera successione del contratto, che entra così a far parte delle sostanze ereditarie.
Pacifica sul punto è anche la giurisprudenza di legittimità, che statuisce: “La morte del locatore comporta solo una modificazione soggettiva del rapporto di locazione con il subentro degli eredi nella posizione del locatore e nei suoi obblighi e con il corrispettivo dovere del conduttore di adempiere l'obbligazione relativa al pagamento del canone nei confronti degli eredi divenuti titolari della locazione senza che ne derivi - ove il conduttore rivesta anche la qualità di erede - la caducazione dell'intero rapporto locatizio risultando soltanto la estinzione dell'obbligazione limitatamente alla quota per cui il suddetto conduttore sia contemporaneamente creditore e debitore del canone” (Cassazione civile, sez. III, 15/04/1989, n. 1811).
Naturalmente potrebbe verificarsi l’ipotesi che a seguito della morte del locatore il conduttore non abbia contezza della persona del nuovo creditore, posto che il de cuius potrebbe aver disposto della posizione contrattuale, istituendo erede una persona diversa dai parenti più stretti – rectius legittimari – ovvero legando il bene ad una persona diversa dagli eredi.
Il problema è stato affrontato anche dal Supremo Collegio, secondo cui “Se nel corso di un rapporto di locazione decede uno dei locatori, gli eredi di esso, per pretendere il pagamento del canone, hanno l'onere di dimostrare la loro legittimazione, perché la modifica soggettiva del contratto, innovando sulle modalità di adempimento (art. 1362, comma 2, c.c.), determina uno stato di incertezza per il conduttore che il creditore ha l'onere di rimuovere, onde rendere possibile la prestazione, in attuazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto; in mancanza dell'assolvimento di tale onere di collaborazione è giustificato il rifiuto del conduttore di pagare il corrispettivo ai nuovi contitolari del diritto, ed è invece idonea a costituire la "mora accipiendi" l'offerta del canone all'originario contitolare del relativo diritto” (Cassazione civile, sez. III, 04/12/1997, n. 12328).
Si precisa, inoltre, che nell’ipotesi in cui nella posizione del locatore succedano più eredi o legatari, non si avrà una pluralità di parti ma la parte locatrice resterà unica, fermo restando che i diversi locatori regoleranno i loro rapporti secondo le regole della comunione.


Con riferimento al secondo quesito, si osserva che l’immobile locato, poiché era ad un tempo adibito ad uso abitativo e studio, c.d. immobile ad uso promiscuo, in sede di determinazione di reddito da lavoro autonomo consente una deduzione del 50% del canone corrisposto al locatore nel periodo d’imposta, sul presupposto che sia l’unico immobile adibito a studio.
Invero né la disciplina codicistica, né la disciplina di cui alla legge 27 luglio 1978 n. 392, né dalla legge 9 dicembre 1998 n. 431 prevedono che la possibilità che il bene locato sia adibito a diversi usi, tuttavia, non si dubita della liceità di detta fattispecie.
Sull’ammissibilità di un uso promiscuo dell’immobile si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, affermando che “La mancata previsione espressa, nella l. 27 luglio 1978 n. 392, della ipotesi di locazione di immobile adibito ad uso promiscuo non impedisce alle parti di concordare la destinazione a più usi dell'immobile locato soccorrendo, ai fini della individuazione della disciplina giuridica del rapporto, la possibilità di applicazione analogica del principio dell'uso prevalente stabilito dal comma 2 dell'art. 80 della predetta legge, per l'ipotesi di mutamento parziale della destinazione d'uso” (Cassazione civile, sez. III, 03/06/1993, n. 6223).
Occorre a questo punto individuare la disciplina applicabile, precisamente occorre valutare se nel caso di specie trovano applicazione differenti discipline ovvero una soltanto.
La dottrina che si è occupata dell’argomento si è espressa nel senso dell’ultima delle soluzioni prospettate ed ha stabilito che è l’uso prevalente quello cui deve essere improntata la disciplina unitaria del rapporto, non essendo sufficiente il solo elemento della superficie adibita a ciascun uso.
Di uguale avviso è il Supremo Collegio, secondo cui “Nel caso in cui l'uso promiscuo dell'immobile locato sia previsto dal contratto, il rapporto, per applicazione analogica del criterio indicato dall'art. 80, ultimo comma, l. 27 luglio 1978 n. 392, deve considerarsi regolato dall'uso prevalente voluto dalle parti, a meno che, avendo il conduttore adibito l'immobile ad un uso diverso, non debba assumere rilievo l'uso effettivo, secondo la previsione del richiamato art...

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