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Se opera anche per la banca il termine di decadenza di sei mesi per l’impugnazione dell’estratto conto trasmesso al cliente, relativamente all’omessa registrazione di partite a credito dell’istituto.-
Impugnazione dell'estratto conto: termine di decadenza vale anche per la banca
Cassazione , sez. III civile, sentenza 24.05.2006 n° 12372

Nel rapporto di conto corrente bancario il termine di decadenza di sei mesi per l’impugnazione dell’estratto conto trasmesso al cliente, fissato dall’articolo 1832 comma 2 Cc, opera anche per la banca, relativamente all’omessa registrazione di partite a credito dell’istituto, con la conseguenza che, decorso inutilmente detto termine, la banca decade dal diritto di far valere crediti che non risultano nell’estratto conto approvato, specie nell’ eventualità si sia a fronte a operazioni non annotate.
E' questo il principio di diritto stabilito dalla Sezione Terza Civile della Cassazione nella sentenza n. 12372 depositata il 24 maggio 2006.
La Suprema Corte inoltre precisa che "nel contratto di conto corrente, la mancata impugnazione o l’approvazione dell’estratto conto non comportano l’incontestabilità del debito da esso risultante, che sia fondato su negozio nullo, annullabile, inefficace o, comunque, su situazione illecita. La verifica - in concreto - se si sia, o meno, a fronte di una contestazione avente i detti requisiti è rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivato". E infine: «ove una sentenza si fondi su una pluralità di rationes decidendi, ognuna, sufficiente, ex se, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro, che tali censure risultino tutte fondate. Deriva, da quanto precede, pertanto, che rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche nella eventualità questi ultimi dovessero risultare fondati non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta».

Corte di Cassazione
Sezione Terza Civile
Sentenza 24 maggio 2006 n.12372
(Presidente Giuliano – relatore Finocchiaro)
Svolgimento del processo
In accoglimento del ricorso 22 aprile 1996 il presidente del tribunale di Parma ha ingiunto alla General Waters Srl il pagamento della somma di lire 88.304.240 in favore della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Tale somma era reclamata dalla Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza a fronte di una ricevuta bancaria accreditata salvo buon fine su un conto corrente della General Waters Srl e non onorata dalla debitrice. Con atto 18 giugno 1996 la General Waters Srl ha proposto opposizione, innanzi al tribunale di Parma, avverso il descritto decreto, eccependo la nullità del decreto stesso perché emesso in assenza dì una prova scritta e facendo, comunque, presente che la pretesa avversaria era infondata. Costituitasi in giudizio la Cassa di Risparmio dì Parma e Piacenza ha chiesto il rigetto della opposizione. Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale con sentenza 990/99, revocato il decreto opposto, ha condannato, comunque, l’opponente al pagamento della somma di lire 88.304.240 oltre accessori. Gravata tale pronunzia dalla General Waters Srl, nel contraddittorio della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza che ha chiesto il rigetto della impugnazione, la Corte di appello di Bologna con sentenza 29 gennaio - 17 luglio 2002 in parziale accoglimento dell’appello ha rigettato la domanda proposta dalla Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza con il ricorso per ingiunzione 22 aprile 1996 e condannato quest’ultima a restituire all’appellante tutte le somme eventualmente percepite in forza della provvisoria esecutorietà della sentenza nonché al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio. Per la cassazione di tale pronunzia, notificata l’11 ottobre 2002, ha proposto ricorso, affidato a tre motivi e illustrato da memoria, con atto 5 dicembre 2002, la Intesa BCI Gestione Crediti Spa, quale procuratore della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. Resiste, con controricorso, la General Waters Srl
Motivi della decisione
1. E’ rimasto accertato in linea di fatto, in esito alla istruttoria espletata in sede di merito che: - il 28 maggio 1993 la General Waters ha presentato, per l’incasso, alla Cassa di Risparmio di Parma una fattura a carico della AFS General Waters Limited con sede in Inghilterra per lire 88.304.240, da pagarsi entro il 30 settembre 1993; - il 9 ottobre 1993 l’istituto ha accreditato, su conto corrente intestato alla General Waters l’importo della fattura «salvo buon fine»; - con telegramma 2 febbraio 1994 la Cassa di Risparmio di Parma (nelle more divenuta Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza) ha sospeso l’utilizzazione delle linee di credito già concesse alla General Waters; - il 3 giugno 1994 il conto corrente in questione è stato chiuso e la Cassa, effettuati i necessari conteggi, ha corrisposto alla General Waters il saldo attivo, pari a lire 7.956.092; - l’11 ottobre 1995 la Cassa ha chiesto alla General Waters la restituzione della somma (lire 88.304.240) a suo tempo accreditata, atteso che si era avvalsa, per l’incasso, della collaborazione della National Westminster Bank, ma la fattura non era stata pagata e il titolo era andato smarrito, durante il tragitto dall’Inghilterra all’Italia; - la General Waters ha opposto di non essere tenuta al pagamento della somma in questione, atteso che con la chiusura del conto corrente i rapporti tra le parti erano stati tutti liquidati. 2. Premesso quanto sopra, giudici dì secondo grado hanno rigettato la domanda proposta dalla Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza nei confronti della General Waters sulla base di due, concorrenti, rationes decidendi. 2. 1. La banca - hanno, in primis, evidenziato quei giudici (richiamando la giurisprudenza di questa Corte regolatrice sul punto specifico) - approva gli estratti conto da essa stessa predisposti nel momento in cui li trasmette al cliente: è dunque pacifico che anche gli istituti di credito sono sottoposti alla disciplina dettata dall’articolo 1832 Cc e, quindi, al termine di decadenza previsto dal secondo comma di questo. In particolare, deve escludersi - hanno concluso sul punto quei giudici - che la banca possa realizzare il proprio credito al di fuori del regime di impugnazione previsto dall’articolo 1832 Cc, perché una simile facoltà contrasterebbe con la funzione, propria della disciplina in esame, di conferire definitività e certezza alla situazione contabile cristallizzata in un determinato momento e di tutelare, al tempo stesso, l’affidamento ragionevolmente sorto in ciascuna delle parti circa la inoppugnabilità delle risultanze degli estratti conto approvati. Alla approvazione del conto - contemporaneamente indipendente dal decorso del termine semestrale previsto dall’articolo 1832 Cc, possono sopravvivere le azioni ordinare volte a fare dichiarare la invalidità o inefficacia giuridica del titolo in base al quale è stata effettuata (o si sarebbe dovuta effettuare) una determinata operazione. Nella specie, peraltro, non si contesta la legittimità e la validità del titolo che la General Waters aveva affidato alla Cassa di Risparmio di Parma per l’incasso. A seguito del mancato pagamento la banca avrebbe dovuto procedere alla storno dell’importo in precedenza accreditato sul conto del mandante e deve escludersi che la banca possa recuperare, dopo oltre due anni e mezzo dal conferimento del mandato all’incasso, e a un anno e mezzo dalla chiusura definitiva del rapporto una somma che nell’estratto di chiusura del conto, tacitamente approvato dal cliente e non impugnato dalla banca, risultava definitivamente attribuita. In conclusione, non essendo stato impugnato, dalla Banca l’estratto conto del 3 giugno 1994 nei successivi sei mesi si era verificata la decadenza prevista dall’articolo 1832, comma 2. 2. 2. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, hanno osservato quei giudici che i motivi che avrebbero impedito lo storno (tempestivo) dal conto corrente della General Waters dell’importo della fattura in precedenza accreditato (ritardata conoscenza del mancato buon fine e smarrimento del titolo) derivano esclusivamente dai rapporti interni tra la Cassa di Risparmio e la banca estera cui era stato affidato l’ incarico e sono, pertanto, imputabili alla stessa azienda di credito che risponde non solo per l’eventuale scelta di un sostituto inadeguato, ma anche per la insufficienza o la erroneità delle istruzione fornite, per la omessa sorveglianza sul sostituto affinché questi osservi diligentemente i compiti che gli sono stati affidati e, soprattutto, per il ritardo nella comunicazione al mandante. 3. Parte ricorrente censura la riassunta pronunzia, quanto al primo delle indicate rationes decidendì denunziando (con il secondo motivo «violazione e falsa applicazione degli articoli 1827 Cc, 1829 Cc 1832 Cc 1857 Cc in relazione agli articoli 360 n. 3 e 5 Cpc». Si assume, infatti, che la sentenza gravata ha violato: l’articolo 1827 Cc «nella parte in cui tale norma sancisce che se l’atto è invalido, la relativa partita si elimina dal conto, in linea con un principio di carattere generale per cui ogni credito con la sua individualità e la sua natura rimane legato alla sua fonte e subisce le vicende connesse all’eventuale esistenza di un vizio che infici l’atto che è a suo fondamento, posto che l’inclusione nel conto non sana alcuna nullità o inefficacia dell’atto da cui l’inclusione ha tratto origine»; articolo 1829 Cc «che recita che se non risulta una diversa volontà delle parti (e qui è confermato e documentalmente provato che le parti hanno voluto negoziare il titolo "salvo buon fine"), l’inclusione nel conto di un credito verso un terzo si presume fatta con la clausola "salvo incasso"»; l’articolo 1832 Cc e l’articolo 1857 Cc «essendo principio consolidato che sul contratto di conto corrente la mancata impugnazione o l’approvazione dell’estratto conto non comportano l’incontestabilità del debito da esso risultante che sia fondato su negozio nullo, annullabile, inefficace». «La Corte di Bologna erroneamente interpreta il principio, peraltro consolidato, affermato dal Supremo Collegio nella predetta decisione 10186/2001, laddove ritiene che la cassa non abbia diritto - a seguito della mancata riscossione del credito con conseguente inefficacia del negozio in virtù del quale aveva provveduto all’inclusione nel corso del relativo importo - a richiedere il pagamento di esso a General Waters». 4. Il motivo, per più aspetti di difficile lettura, non coglie nel segno e deve essere rigettato. Sotto entrambi i profili in cui si articola. 4. 1. Quanto, in primis, alla denunziata «violazione e falsa applicazione» di molteplici norme di diritto, puntualmente indicate nel motivo, si osserva che, come noto, il vizio dì «violazione e falsa applicazione di norme di diritto», dì cui all’articolo 360 n. 3 Cpc consiste nella deduzione di una erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge. La stessa, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre la allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna alla esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Recentemente, in termini, cfr. Cassazione, 4561/06, specie in motivazione). Contemporaneamente si osserva che in sede di ricorso per cassazione il vizio di «violazione e falsa applicazione di norme di diritto», di cui all’articolo 360 n. 3 Cpc, deve essere dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con la interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione (oltre Cassazione4561/06, cit., tra le tantissime, Cassazione 2659/05; Cassazione 18782/05). Pacifico quanto sopra.,si osserva che - come evidenziato sopra - nel rigettare la domanda attrice i giudici del merito hanno nella specie fatto applicazione esclusivamente della regola contenuta nell’articolo 1832, Cc secondo la quale, in tema di conto corrente: - «l’estratto conto trasmesso da un correntista all’altro s’intende approvato, se non è contestato nel termine pattuito o in quello usuale, o altrimenti nel termine che può ritenersi congruo secondo le circostanze» (comma 1); «l’approvazione del conto non preclude il diritto di impugnarlo per errori di scritturazione o dì calcolo, per omissioni o per duplicazioni. L’impugnazione deve essere proposta, sotto pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di ricezione dell’estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura, che deve essere spedito per mezzo di raccomandata» (comma 2...

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