QUESITO N. 296 : Se un alloggio di edilizia residenziale pubblica, di proprietà dell’Agenzia del Demanio, sottoposto al vigore della L. n. 560 del 1993, acquistato nel luglio del 2003, può essere venduto dal proprietario prima dei dieci anni
Quesito n. 296 : Se un alloggio di edilizia residenziale pubblica, di proprietà dell’Agenzia del Demanio, sottoposto al vigore della L. n. 560 del 1993, acquistato nel luglio del 2003, può essere venduto dal proprietario prima della scadenza del termine decennale stabilito dall’art. 1 comma 20 di suddetta legge.-
Come ben noto, lo Stato interviene direttamente, con mezzi interamente pubblici, per costruire alloggi ad uso abitativo da dare in proprietà o locazione alle famiglie con reddito più basso, al fine di garantire un'abitazione ad una particolare categoria di soggetti economicamente deboli.-
In materia sono state emanate numerose leggi disciplinanti il settore, tutte accomunate da una stessa ratio giustificatrice: garantire il diritto alla casa a cittadini aventi determinati requisiti reddituali, con il rispetto di precisi vincoli sul bene (immutatio della destinazione, inalienabilità per dieci anni dalla registrazione del contratto etc) e assicurare che lo Stato sia sottratto al rischio di perdere le risorse finanziarie impiegate per fini pubblici.-
Se questa è la ratio giustificatrice delle normative di settore, si ritiene opportuno fare un breve elenco delle leggi più significative che hanno disciplinato la materia dell’assegnazione degli alloggi di residenza pubblica dal 1977 fino alla legge n. 560 del 1993, sotto la cui vigenza ricade l’immobile oggetto del quesito che ci è stato posto.-
A tal fine si evidenzia che:
L’alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica inizialmente era disciplinata dall’art. 28 della legge n. 513 del 1977 che prevedeva un decennio di inalienabilità dalla data dell’acquisto da parte dei privati e, dopo il decennio, un diritto di prelazione a favore dell’ente da esercitarsi a prezzo d’origine rivalutato.-
Successivamente, per far fronte alle finanze dissestate dello Stato e consentire una gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica con criteri sostanzialmente privatistici, la legge n. 412 del 30/12/1991 aveva consentito lo smobilizzo del patrimonio immobiliare degli IACP regolamentando interamente la materia nell’art.28.-
L’art. 28 della legge n. 412, che aveva ribaltato un principio consolidato in materia non ponendo alcun limite né alcun divieto di alienazione a carico degli acquirenti di alloggi di edilizia sovvenzionata, è stato successivamente abrogato dall’art. 1 comma 26 della legge n.560 del 24/12/1993, che ha ristabilito nuovamente il principio dell’inalienabilità dell’immobile per dieci anni, non sanzionando però il mancato rispetto della normativa.-
La legge n. 560 del 24/12/1993 art. 1 comma 20 ha così stabilito: “gli alloggi e le unità immobiliari acquistati ai sensi della presente legge non possono essere alienati, neanche parzialmente, né può esserne modificata la destinazione d’uso, per un periodo di dieci anni dalla data di registrazione del contratto di acquisto e comunque fino a quando non sia stato pagato interamente il prezzo.-
In caso di vendita , gli IACP e i loro consorzi, comunque denominati e disciplinati con legge regionale, hanno diritto di prelazione”.-
Dalla lettura della norma emerge che, chi è proprietario – come nel caso in esame - di un alloggio di edilizia residenziale pubblica potrà vendere il proprio immobile, sempre che siano rispettati due requisiti fondamentali:
che sia stato pagato l’intero prezzo dell’immobile.
che siano trascorsi dieci anni dalla data di trascrizione dell’atto di acquisto.-
Se problemi non sorgono circa il primo punto, altrettanto non può dirsi circa il rispetto del limite temporale dei dieci anni.-
Si ci chiede, infatti: cosa accade se il proprietario che ha acquistato l’alloggio pubblico aliena il bene senza rispettare il limite temporale decennale? Il contratto di compravendita stipulato in dispregio alla normativa può considerarsi nullo, stante l’assenza di una tal previsione da parte del legislatore? Può affermarsi che detta nullità debba desumersi aliunde, utilizzando il concetto di nullità virtuale, ai sensi dell'art. 1418 cod. civ.?
Sul punto occorre sottolineare che non c’è unanimità in dottrina e in giurisprudenza.
E, infatti,
per la dottrina più remota la nullità negoziale non può essere dichiarata se non in forza di apposita norma che la preveda espressamente (così MIRABELLI, Dei contratti in generale, UTET, 1980, 487),
per la dottrina più recente (TOMMASINI, voce Nullità (dir. priv.), Enc. diritto, 1978, 878; MANTOVANI, Divieti legislativi e nullità del contratto, in Nuova giurisprudenza civile commentata, p. II, 1987, 68 e segg. ed ivi ampie citazioni di dottrina) e per parte della giurisprudenza, invece, occorre verificare se possa applicarsi l’art. 1418 c.c che disciplina la nullità virtuale.-
Diversi sono gli orientamenti giurisprudenziali sul punto.-
E, infatti, da un lato c’è chi ritiene che le norme di edilizia residenziale pubblica che prescrivono il divieto di alienazione sono norme imperative in quanto volte a salvaguardare un interesse generale non derogabile ( cfr Cass. 5 maggio 1989 n. 2129).-
Naturale conseguenza di questa premessa è che il contratto di compravendita stipulato in violazione del termine di dieci anni dalla data di registrazione del contratto debba considerarsi nullo, per nullità virtuale.-
- Questa soluzione sembrerebbe però contrastare con tutta la tendenza legislativa degli ultimi anni, tesa ad eliminare i divieti legali di alienazione temporanea dell'alloggio, specie allorquando, come è nell'ipotesi della legge 560/93, l'interesse principale perseguito appare più quello economico di finanziamento degli istituti che quello pubblicistico di attribuire alloggi a basso prezzo.-
Altra parte della giurisprudenza, invece, nega che possa applicarsi l’art. 1418 c.c alla fattispecie de qua in quanto, se nella legge manca la sanzione della nullità, occorre controllare la natura della disposizione violata, per accertare se essa intenda perseguire un interesse pubblico o privato: soltanto nel primo caso, potrà affermarsi che la disposizione sia di interesse generale.(cfr per tutte Cass. 11 ottobre 1979, n. 5311, in Foro pad. 1979, I, 364; Cass. 17 giugno 1985, n. 3642, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 284; Cass. 11 dicembre 1985, n. 6271, ivi, 1986, 469).-
Ebbene può definirsi pubblico l’interesse perseguito dal legislatore del 1993?
Se da un lato è evidente che la legge del 1993 è volta ad evitare che si compiano atti speculativi a danno dell'erario statale e a garantire il soddisfacimento dell'interesse del ceto più bisognoso ad ottenere una casa di cui il beneficiario non possa disfarsene immediatamente, è di lapalissiana evidenza però che, quando il prezzo di acquisto dell'alloggio e quindi il suo valore venale è stato basato sul valore dei ...
... continua