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QUESITO N. 336: Se la Soprintendenza può chiedere ed ottenere l’abbattimento del balcone e del corpo esterno di un immobile dotato di “Licenza di abitabilità dal ‘52 e costruito negli anni ’30, antecedente quindi al D.M. del 1976( c.d. Ville Vesuviane)
Quesito n. 336: Se la Soprintendenza può chiedere ed ottenere l’abbattimento del balcone e del corpo esterno di un immobile dotato di “Licenza di abitabilità dal ‘52 e costruito negli anni ’30, antecedente quindi al D.M. del 1976( c.d. Ville Vesuviane) considerando che non sono stati citati nella comunicazione della Soprintendenza, evidenti difformità di altri appartamenti rispetto al prospetto originario del fabbricato.-

I vincoli ambientali sono sempre rivolti alla protezione di beni, luoghi, realtà e situazioni materiali bisognevoli di tutela per il loro particolare valore ecologico, geologico o biologico, estetico e in diversi casi anche antropologico e storico-culturale; quindi sono tutti vincoli conservativi, i quali possono pure essere definiti “vincoli morfologici”, a significare che gli stessi sono diretti a conservare la conformazione fisica – ossia la morfologia – delle aree e degli immobili sottoposti a vincolo.
In breve, quando l’amministrazione impone un vincolo ambientale, essa dovrebbe limitarsi a riscontrare in un’area o in un bene l’esistenza delle caratteristiche fisiche e dei valori oggettivi che l’ordinamento le richiede di proteggere e, conseguentemente, a individuare e prescrivere le misure necessarie per la loro conservazione.
Difatti, come ha ribadito più volte la Corte Costituzionale a partire dalla celebre sentenza 29 maggio 1968, n. 56 – figlia della nota sentenza 20 gennaio 1966, n. 6, e gemella dell’altrettanto celebre sentenza 29 maggio 1968, n. 55 – nell’imposizione dei vincoli per la tutela ambientale la pubblica amministrazione sarebbe dunque chiamata dalla legge ad accertare in concreto, sulla base di apprezzamenti o giudizi di natura esclusivamente tecnica, le condizioni intrinseche e le qualità essenziali di determinati beni e a specificare altresì quali utilizzazioni dei medesimi beni siano compatibili con l’esigenza di salvaguardare tali condizioni e qualità.-
I vincoli imposti, pertanto, non sarebbero il frutto di scelte amministrative puramente discrezionali, atte a restringere dall’esterno il contenuto ordinario della proprietà di singoli beni, ma costituirebbero l’estrinsecazione di particolari regimi proprietari, tipici di intere categorie di beni: regimi nei quali, in virtù delle caratteristiche oggettive dei beni considerati, i diritti di proprietà avrebbero un contenuto intrinsecamente limitato, in forza di quanto disposto dall’art. 42, comma 2, della Costituzione.-
Anche la fattispecie venuta in esame, effettivamente, non sembra aver lasciato all’amministrazione la possibilità di comparare interessi nell’apposizione del vincolo, con riferimento non solo alla possibilità ma pure al contenuto del provvedimento adottato.
In particolare, l’imposizione del vincolo risale al 1976, anno in cui il fabbricato di cui fa parte l’immobile è stato inserito nell’elenco delle Ville Vesuviane, del XIII secolo, in virtù di D.M. del 19.10.1976, ai sensi della legge 29.07.1971 n.578 e di conseguenza sottoposta la vincolo di cui alla legge n. 1089/1939.
Secondo la disciplina allora vigente la P.A., ai fini della regolare procedura di cui alla L. 1089/’39, era tenuta alla notifica di interesse storico o artistico.
Alla notifica, fatta agli allora proprietari, non seguiva (perché le procedure dell’epoca non lo prevedevano) la trascrizione in Conservatoria dei Registri Immobiliari (oggi Pubblicità Immobiliare).
L’unico obbligo che imponeva la legge ai proprietari era la comunicazione dell’esistenza del vincolo agli eventuali acquirenti o nuovi possessori dell’immobile .
Peraltro, la suddetta notifica non pare sia stata accompagnata da prescrizioni in ordine al ripristino di parti del fabbricato in conseguenza dell’accertamento di incompatibilità esistenti.
Difatti, dalle informazioni in possesso, non sembra possa invocarsi alcun atto, relazione o perizia tecnica che possa fungere da fondamento giuridico di quanto suesposto, cosicchè appare ipotizzabile asserire che, relativamente all’immobile in esame, l’apposizione del vincolo è avvenuto nel rispetto della disciplina giuridica allora vigente e che tale provvedimento è stato emanato in assenza di prescrizioni in ordine a qualsivoglia obbligo di abbattimento ovvero di ripristino.
Oltretutto, nella presunta attività di determinazione e di graduazione della portata del vincolo, l’amministrazione non pare aver oltrepassato i confini della discrezionalità tecnica, sebbene ha espresso valutazioni e decisioni fisiologicamente opinabili.
È possibile infatti che, ove in relazione ad un immobile di interesse storico – culturale siano stati tollerati interventi edilizi preesistenti, anche piuttosto invasivi, ciò potrebbe derivare non certo da una comparazione amministrativa tra interessi ambientali e interessi sociali risolta a favore dei secondi, bensì da un apprezzamento di natura tecnica, favorevole all’ammissibilità di tali interventi perché giudicati compatibili con la qualità non elevata dei valori ambientali riscontrati nell’area in questione, in ipotesi già largamente trasformata da processi di antropizzazione.-
Quanto osservato sul carattere tecnico o tecnico-discrezionale delle funzioni di imposizione dei vincoli vale inoltre, a maggior ragione, con riguardo alle attività di gestione delle limitazioni legali e amministrative.-
Le funzioni autorizzatorie, inoltre, presentano in genere un livello di complessità tecnica inferiore a quello delle funzioni impositive dei vincoli, anche perché un adeguato esercizio delle seconde dovrebbe importare una delimitazione abbastanza precisa dei poteri valutativi insiti nelle prime.-
Da un attento esame dei fatti, si potrebbe ipotizzare l’inquadramento della vicenda nei casi in cui la Soprintendenza così come avviene, del resto, in altri rami del diritto amministrativo, sia stata indotta nella tentazione di usare i poteri di valutazione tecnica ad essa attribuiti per compiere, in realtà, scelte ampiamente discrezionali.-
Difatti, la Soprintendenza di Napoli ha autorizzato l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione con provvedimento condizionato all’osservanza di talune prescrizioni, quali l’abbattimento del balcone con affaccio interno cortile, ripristinando finestre come al piano inferiore e l’abbattimento del bagno e cucina, che è unico corpo sporgente al fabbricato.-
Tale condotta, lìddove fosse suffragata da un sufficiente corredo probatorio, potrebbe rilevare un’illegittima compressione del diritto di proprietà. Ciò, per due ordini di motivi.-
In primis, l’autorizzazione emessa dalla Soprintendenza non è debitamente motivata.-
Tuttavia, relativamente ai regimi vincolistici delle aree sottoposte a processi di trasformazione in atto, si impone una appropriata verifica in ordine all'attualità delle ragioni che devono dar luogo agli interventi di salvaguardia, al fine di realizzare un progressivo transito da scelte di tutela globale ed indifferenziate (che, come tali, possono essere vissute come opzioni irrazionali e perfino vessatorie) a soluzioni che valorizzino esigenze di tutela riscontrabili ed attuali, tali da giustificare la permanenza delle misure di protezione.-
Anche di recente la giurisprudenza ha affermato che “In relazione a provvedimenti negativi in materia di nulla osta paesaggistico l'Amministrazione è certamente tenuta a motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto sottoposto all'esame con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengono adeguate alla caratteristiche ambientali protette”. (cfr. CONS. STATO, VI, 8 maggio 2008, n.2111; T.A.R. VENETO, Sez. III - 19 febbraio 2009, n.453).-
Anche a voler tralasciare tale profilo, la sorte del manufatto realizzato anteriormente all'imposizione di vincolo paesaggistico, non può, comunque, prescindere dal problema dell’applicazione della disciplina giuridica sopravvenuta, nell'ambito di uno stato di fatto consolidato sotto l'impero della normativa previgente.-
Sia la dottrina che la giurisprudenza ritengono valido, in proposito, il principio secondo cui gli atti compiuti sotto l'impero della legge precedente conservano la loro efficacia e non devono essere rinnovati.-
Cosicchè, la legittimità di questi ultimi deve essere valutata con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della loro emanazione.-
La pubblica amministrazione cioè deve applicare la normativa vigente al momento in cui provvede e non può la nuova legge incidere su situazioni giuridiche ormai concluse (cfr. ex plurimis in giurisprudenza C.S. IV 24.11.1986, n. 751; C.G.A. 22.10.1984, n. 146; C.G.A. 4.2.1985, n. 16; C.S. VI 8.2.1983, n. 53).-
Se lo stato dei fatti è compatibile con le fattispecie di cui ai summenzionati orientamenti, allora il giudizio di incompatibilità del balcone e del corpo esterno con il vincolo architettonico imposto all’immobile sembra intrinsecamente contraddittorio, ponendosi in aperta violazione del principio richiamato.-
Difatti, appare plausibile che le opere edilizie in questione riguardano un immobile costruito alla fine degli anni ‘20/30, così come si evince dall’atto pubblico e dotato di “Licenza di abitabilità” di cui l’immobile rilasciata in data 23.01.1952.-
Alla tempo dell’apposizione del vincolo (anno 1976), le opere contestate erano già presenti nella stessa conformazione attuale oltre che conformi alle leggi urbanistiche vigenti.-
Orbene, per il principio sopra richiamato, non può revocarsi in dubbio la legittimità di provvedimenti adottati sotto l'impero della precedente situazione normativa e neppure sottrarsi alle conseguenze di atti allora legittimamente adottati in quanto con l'adozione del provvedimento che ha definito la licenza di abitabilità il procedimento relativo è concluso.-
Cosicchè, tutte le determinazioni di volta in volta assunte dalle amministrazioni interessate, anche inerenti l’apposizione e la gestione di vincoli paesaggistici, dovrebbero fondarsi sul regime giuridico rilevabile al momento dell'adozione dei provvedimenti finali.-
Tali opere, inoltre, in quanto facenti parte dell’immobile antecedentemente a vincolo, potrebbero essere anch’esse attualmente vincolate.-
Se è vero come è vero che il decreto del 19.10.1976 ha riguardato tutto il palazzo con tutte le sue strutture e pertinenze esistenti e che, oltretutto, non esiste nessuna relazione storico artistica dalla quale si evincano limitazioni o esclusioni del vincolo imposto a particolari strutture o elementi dell’immobile, sembra ipotizzabile che le opere oggetto di contestazione, siano considerabili, allo stato, anch’esse vincolate, in quanto preesistenti alla imposizione del suddetto vincolo.-
Se così non fosse, la presunta incompatibilità con il vincolo delle opere in oggetto, sarebbe dovuta essere, comunque, espressamente denunciata in sede di avvio del procedimento impositivo ed essere successivamente inserita nel d.m. impositivo o nella relazione tecnica allegata; in caso contrario, lo stesso decreto di vincolo  sarebbe illegittimo nella parte in cui, nel descrivere i beni di interesse rilevante, non notizia il proprietario del contrasto esistente tra il singolo bene e l’insieme del fabbricato.-
In mancanza di comunicazione, le eventuali incompatibilità con il vincolo di alcune parti dell’immobile non sono opponibili al proprietario laddove lo stesso non può conoscere eventuali prescrizioni di incompatibilità o abbattimento, né altrimenti può partecipare al relativo procedimento impositivo, non essendo notiziato, con la comunicazione di avvio del procedimento  propedeutico al vincolo, delle suddette prescrizioni che l’Autorità intenderebbe comminare in sede di imposizione del vincolo medesimo.-
Se tale è la disciplina applicabile, appare ipotizzabile l’assenza di responsabilità in testa al mediatore.-
L’unico obbligo gravante sul mediatore in punto, è quello di “comunicare alle parti le circostanze “a lui note”, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso”, così come testualmente previsto dall’art. 1759 C.c.-
La giurisprudenza intervenuta in punto ha coerentemente ribadito che il mediatore è tenuto a riferire esclusivamente le circostanze di cui sia a conoscenza, o perché ne abbia avuto diretta conoscenza, o perché gli siano state riferite da terzi o dalle parti stesse, non essendo ipotizzabile (perché contrastante con il contenuto della norma) un obbligo di indagine per apprendere circostanze altrimenti sconosciute.-
La Suprema Corte ha, altresì, precisato che, in base alla disciplina codicistica e professionale, non si può ritenere che il mediatore sia tenuto, senza uno specifico incarico ad hoc, al compimento di indagini di natura tecnico-giuridica, quali le visure catastali ed ipotecarie, atte ad accertare la libertà dell’immobile da pesi e vincoli (Cass. N. 822 /2006; sull’argomento cfr anche Cass. Civ. nn. 7630/2002, 16009/2003, 13767/2004).-
Ancora la Suprema Corte si è da ultimo pronunciata sul punto stabilendo che : “In tema di responsabilità del mediatore, non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell'adempimento della prestazione ai sensi d...

... continua
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