La responsabilità extracontrattuale del mediatore nei confronti del promissario acquirente.-
La responsabilità extracontrattuale del mediatore nei confronti del promissario acquirente
Sommario: 1. Il caso. 2. La decisione della Cassazione. 3. Le questioni. 3.1. Mandato e mediazione : differenze strutturali tra i due contratti, anche con riferimento alla c.d. mediazione atipica ed alla mediazione negoziale. 3.1.1. Le singole teorie sulla mediazione . 3.1.2. Le agenzie immobiliari: cumulo delle due figure negoziali. 3.2. Obbligo di diligenza qualificata gravante sull'esercente l'attività di mediazione , sia nel caso di mediazione ex art. 1754 c.c. sia nel caso di mediazione nascente da uno specifico incarico di mandato. 3.3. Differente regime di responsabilità: cenni sulla c.d. responsabilità contrattuale da "contatto sociale". 4. Conclusioni.
1. IL CASO
Un soggetto persona fisica, R.M., incaricava una società immobiliare di promuovere la vendita di un immobile, di cui dichiarava di essere comproprietario insieme ad altri due soggetti, E.M. e N.L. A sua volta, un altro soggetto persona fisica, E.O., rivoltosi alla medesima società immobiliare per l'acquisto di un immobile, sottoscriveva una prima proposta d'acquisto relativa all'appartamento; all'atto dell'accettazione, tuttavia, parte venditrice faceva presente alla società intermediaria l'esistenza di ulteriori comproprietari del bene, in nome e per conto dei quali veniva sottoscritta l'accettazione. In seguito, la scoperta esistenza di una pratica di condono edilizio, in precedenza non comunicata, rendeva necessaria la sottoscrizione di una seconda proposta d'acquisto da parte dell'acquirente, che veniva accettata da parte venditrice.
Tuttavia, a seguito di ulteriori e più approfondite ricerche da parte del notaio incaricato, si venne a conoscenza del fatto che l'immobile risultava censito catastalmente con due diversi numeri di partita, uno dei quali era intestato per la quota di 1/8 ad un ulteriore soggetto persona fisica, C.R., deceduto da anni e del quale non erano reperibili gli eredi.
A quel punto, il promissario acquirente rinunciava ad acquistare l'intera proprietà e chiedeva la restituzione della caparra versata, oltre al rimborso della provvigione pagata alla società intermediaria ed al risarcimento del danno.
Stante il rifiuto opposto dall'intermediario, il promissario acquirente citava in giudizio la Società immobiliare per sentirla condannare alla restituzione della provvigione, nonché al risarcimento del danno subito. Il Tribunale accoglieva le richieste attoree, ritenendo la Società immobiliare responsabile per avere omesso di accertare la effettività titolarità dell'immobile; ciò in virtù del principio secondo cui il mediatore è tenuto ad una corretta informazione nei confronti della parte, in ossequio al dovere di diligenza di cui all'art. 1176 c.c.
La decisione del Giudice di prime cure veniva poi confermata in appello. La Corte territoriale, infatti, ribadiva la responsabilità contrattuale della società intermediaria, basata sul dovere del mediatore professionale dotato di particolari competenze e cognizioni tecniche di verificare la reale fattibilità dell'affare, non potendosi ridurre il suo ruolo ad un mero "megafono delle grida negoziali altrui".
2. La decisione della Cassazione
Avverso la sentenza d'appello, la Società immobiliare proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 1755 e 1759 c.c. in quanto i giudici d'appello, erroneamente, avrebbero ritenuto insito nella mediazione un rapporto di mandato; la ricorrente sosteneva, viceversa, che il mediatore è tenuto ex lege al rispetto del dovere di imparzialità e, pertanto, istituzionalmente non è né può essere il rappresentante o il mandatario di una sola delle due parti; da ciò, conseguirebbe l'errata attribuzione di responsabilità ex contractu nel caso di specie.
Con la decisione in commento, la Suprema Corte conferma, innanzitutto, il proprio recente orientamento, secondo il quale, oltre alla mediazione c.d. "tipica" disciplinata dall'art. 1754 c.c. e consistente in un'attività di natura giuridica in senso stretto, è configurabile altresì una mediazione di tipo contrattuale riconducibile al contratto di mandato; ciò, traendo argomento dal disposto degli artt. 1756 (in materia di rimborso spese spettante al mediatore) e 1761 (che disciplina la rappresentanza del mediatore) c.c., che supporterebbero la configurazione di un vero e proprio rapporto di mandato ex art. 1703 c.c.
La mediazione "tipica", di cui all'art. 1754 c.c., comporta che il mediatore, senza vincoli e quindi in posizione di imparzialità, ponga in essere un'attività giuridica in senso stretto di messa in relazione tra due o più parti, idonea a favorire la conclusione di un affare; la stessa è incompatibile con un sottostante rapporto di mandato tra il mediatore ed una delle parti che ha interesse alla conclusione dell'affare stesso, nel qual caso il mediatore-mandatario non ha più diritto alla provvigione da ciascuna delle parti ma solo dal mandante. Inoltre, in tal caso, il mediatore acquista il diritto alla provvigione sempre che l'affare sia concluso non in virtù di un negozio posto in essere ai sensi dell'art. 1322 c.c. con la parte, bensì sulla base di un mero comportamento di fatto (l'avere messo in relazione tra loro due o più parti per la conclusione di un affare) che la legge riconosce come fonte di un rapporto obbligatorio tra le parti.
Ciò non esclude, tuttavia, la possibilità di svolgere l'attività di mediazione sulla base di un rapporto contrattuale di mandato. In tal caso, il mediatore non agisce in virtù di un comportamento di natura giuridica in senso stretto (che prescinde da un sottostante titolo giuridico), bensì in base ad uno specifico incarico conferitogli da una o più parti, ai fini della conclusione dell'affare (nel caso che qui ci occupa, la compravendita di un bene immobile). In tal caso, l'attività del mediatore-mandatario è consequenziale all'adempimento di uno specifico obbligo contrattuale e, pertanto, si configura in capo al mediatore, nei confronti della controparte, una responsabilità di tipo contrattuale.
Nel caso in cui il mediatore agisca come mandatario, assume su di sé i relativi obblighi e, qualora si comporti illecitamente recando danni a terzi, è tenuto a favore di questi ultimi al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., configurandosi dunque una fattispecie di responsabilità aquiliana o extracontrattuale.
3. Le questioni
3.1. Mandato e mediazione : differenze strutturali tra i due contratti, anche con riferimento alla c.d. mediazione atipica ed alla mediazione negoziale
L'annotazione di questa recente pronuncia della Suprema Corte presuppone, in via preliminare, un accurato inquadramento degli istituti rilevanti e delle loro possibili interferenze.
L'art. 1754 c.c., come noto, non definisce il contratto di mediazione , ma individua la figura del mediatore in colui che mette in contatto due parti, le quali concludano un affare economico per effetto del suo intervento; tale intervento dà diritto al conseguimento della provvigione.
Ciò premesso, non si può non rilevare come l'attività mediatizia possa trarre origine anche da un incarico (certamente contrattuale) di mandato.
Con tale contratto consensuale, improntato sulla fiducia, il mandatario, nell'accettare un incarico di mediazione , ha l'obbligo giuridico di curarne l'esecuzione e, soprattutto, acquista il diritto a ricevere il compenso pattuito indipendentemente dal risultato raggiunto, a meno che le parti non abbiano contrattualmente subordinato il pagamento del compenso al raggiungimento del risultato.
A tale obbligo giuridico, al contrario, non è tenuto il mediatore, il quale, interponendosi in modo neutrale ed imparziale tra i due contraenti, con esclusione di ogni forma di collaborazione, ha l'unico onere di metterli in relazione, appianarne le eventuali divergenze e far loro concludere l'affare, maturando il diritto a ricevere il compenso solo in caso di conclusione del contratto. Peraltro, non osta in alcun modo al requisito di indipendenza che deve caratterizzare la figura del mediatore, la circostanza che l'incarico al mediatore sia conferito da una sola parte e che il compenso sia previsto a carico di una sola delle parti, o comunque in forma diseguale tra le parti.
Il dovere di neutralità e imparzialità caratterizza la figura dell'esercente l'attività mediatizia in tutte le sue possibili estrinsecazioni giuridiche.
3.1.1. Le singole teorie sulla mediazione
La natura dell'istituto giuridico della mediazione è stata oggetto, sin dal secolo scorso, di diatribe dottrinali e giurisprudenziali, le quali fanno capo essenzialmente a tre diverse teorie, delle quali con il presente commento si darà brevemente conto.
Secondo una prima concezione, largamente dominante in giurisprudenza e piuttosto seguita anche dalla dottrina, la mediazione avrebbe sempre natura contrattuale. Una seconda tesi, recentemente abbracciata da molti studiosi, riconduce l'istituto in esame a seconda dei casi concreti ad un modello negoziale ovvero ad uno schema acontrattuale. Si segnala, infine, un terzo orientamento, che trovava molti sostenitori nella prima metà del secolo scorso ma che attualmente è in fase di declino, in virtù del quale la mediazione darebbe sempre necessariamente vita ad un rapporto di fonte non contrattuale.
La prima teoria c.d. teoria della contrattualità dell'istituto della mediazione affonda le proprie radici sotto il vigore del codice del 1882, quando godeva del favore della dottrina maggioritaria e della prevalente giurisprudenza di legittimità. Tale orientamento è stato costantemente seguito nel tempo dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, la quale concepisce il rapporto di mediazione come rapporto contrattuale, sia nel caso in cui gli interessati conferiscano preventivamente l'incarico al mediatore, sia nel caso in cui accettino comunque l'attività da lui prestata; ciò in virtù del fatto che in entrambi i casi, la mediazione trae origine e fondamento dalla volontà dei soggetti, che può essere manifestata espressamente ovvero mediante fatti concludenti. In ultima analisi, il contratto di mediazione è inteso come fondato esclusivamente sull'accordo tra il mediatore e le parti dell'affare e, risponde compiutamente, pertanto, al tradizionale schema consensualisitico di cui all'art. 1321 c.c..
Nell'ambito della concezione in esame, è tuttavia controversa la configurazione strutturale del contratto di mediazione . Secondo una parte minoritaria della dottrina, il contratto di mediazione avrebbe sempre e in ogni caso una struttura trilaterale, dovendo essa comprendere necessariamente tutti i contraenti dell'affare; da ciò conseguirebbe che il contratto di mediazione si perfeziona soltanto con il consenso del mediatore e di tutti i possibili contraenti dell'affare . In base alla concezione maggioritaria, invece, la mediazione si configura come negozio bilaterale: infatti, si osserva, ben può accadere che l'incarico venga conferito da una soltanto delle parti contraenti dell'affare ovvero che una soltanto di esse si serva dell'opera del mediatore. Si registra, poi, all'interno degli stessi fautori della tesi qui in esame, una difformità di vedute in ordine alla struttura del rapporto nel caso in cui l'incarico al mediatore venga conferito da entrambe le parti coinvolte nell'affare ovvero nel caso in cui l'opera dell'intermediario venga accettata da entrambe. Secondo alcuni, in siffatti casi si dovrebbero sempre configurare tanti differenti e distinti contratti di mediazione , quanti sono i contraenti dell'affare; secondo altri, invece, si potrebbe avere un unico contratto di mediazione che vincola nei confronti del mediatore tutti i contrapposti soggetti interessati all'affare.
Un secondo filone di pensiero che sta acquistando sempre maggiore interesse e consensi nella dottrina è quello secondo il quale l'istituto della mediazione avrebbe natura variabile, poiché a seconda dei casi potrebbe dar vita ad un contratto ovvero ad una fattispecie non negoziale.
Il minimo comune denominatore dell'indirizzo dottrinale in esame è costituito dal riconoscimento che ove tra il mediatore ed uno o più dei possibili contraenti dell'affare sia intervenuto un accordo quest'ultimo dà vita ad un vero e proprio contratto, che deve essere disciplinato secondo la relativa normativa; viceversa, qualora ciò non avvenga, sorgerebbe comunque in capo al soggetto che si serve dell'opera del mediatore l'obbligo di corrispondergli la provvigione, sempre che naturalmente ne sussistano i presupposti. La teoria in esame trae origine dalla critica della tesi contrattualistica e, in particolare, dal rilievo che l'utilizzo dell'attività del mediatore ad opera delle parti dell'affare non implica sempre e necessariamente l'esistenza di una loro volontà di stipulare un contratto che le impegni alla corresponsione della provvigione; di conseguenza, la teoria contrattualistica potrebbe teoricamente rappresentare una finzione di volontà negoziale.
All'interno della teoria qui in esame, vi sono diverse concezioni tra loro disomogenee. Infatti, in mancanza di un accordo contrattuale, secondo alcuni Autori, si configurerebbe un rapporto fondato sull'attività di mediazione; secondo altri, un rapporto contrattuale di fatto ; ancora, secondo altro autorevole studioso, la disciplina codicistica della mediazione darebbe luogo ad un atto giuridico in senso stretto.
Secondo l'ultima corrente di pensiero sopra citata, la mediazione costituirebbe sempre e senza eccezioni una fattispecie di natura non negoziale, fondata su di un'attività del mediatore non autorizzata, rispetto alla quale sarebbero ammissibili solamente accordi modificativi ed integrativi della disciplina di legge (ad esempio, in materia di provvigione o rimborso spese del mediatore). In altri termini, la teoria in esame sostiene che il rapporto di mediazione nasce in ossequio al disposto dell'art...
... continua