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Se il prezzo sul rogito è più basso del compromesso che rischio?

Nel caso di vendita immobiliare, cosa si rischia nei confronti del fisco quando il prezzo di acquisto riportato sul contratto preliminare è più alto di quello indicato invece nel contratto definitivo? Immagina di voler acquistare una casa e di accordarti con il venditore per un prezzo. Firmate così il preliminare di vendita, il cosiddetto compromesso, e vi accordate in quella sede per la data di firma del rogito davanti al notaio: si tratta di qualche mese dopo, giusto il tempo per il venditore di trasferire i suoi mobili e per te di ottenere materialmente il mutuo dalla banca. Succede però che, in questo arco di tempo, ti accorgi di un grosso difetto dell’immobile per il quale ci sarà bisogno di un intervento di manutenzione molto costoso. Il venditore non vuol farlo di tasca propria, anche perché ha l’intenzione di andarsene il più presto possibile, ma ha deciso di accordarti uno sconto sul prezzo di vendita finale. Così, quando vi recate dal notaio, riportate sul contratto definitivo un corrispettivo più basso di diverse migliaia di euro rispetto a quello inizialmente riportato sul preliminare. Il notaio però vi fa notare che questo potrebbe causarvi dei problemi con il fisco: l’Agenzia delle Entrate, infatti, potrebbe “non prenderla bene” e ritenere che, dietro questa improvvisa diminuzione di prezzo vi sia invece un’evasione fiscale dettata dalla consegna di denaro contante in nero. È davvero così? In caso di compravendita di una casa, se il prezzo sul rogito è più basso del compromesso che succede? Rischi davvero un accertamento fiscale? La questione è stata analizzata di recente dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio [1]. La sentenza è particolarmente interessante non solo per le conclusioni a cui perviene (conclusioni – come vedremo a breve – favorevoli al contribuente), ma anche e soprattutto perché fa intendere che, in tutti gli altri casi, il rischio di problemi col fisco è tutt’altro che remoto. Cerchiamo di sintetizzare questa regola. Indice 1 Che rischio se il prezzo del rogito è più basso del compromesso? 2 Rogito con prezzo più basso: posso dire che è uno sconto? 3 Le prove devono essere documentali Che rischio se il prezzo del rogito è più basso del compromesso? Tutte le volte in cui il prezzo di vendita di una casa, per come riportato sul contratto definitivo è più basso rispetto a quello del compromesso, l’Agenzia delle Entrate può – in assenza di prove contrarie – ritenere che non si tratti di un ripensamento o di uno sconto, ma solo di una finzione dettata dall’esigenza di versare una parte dei soldi in nero, in modo da sottrarli all’imposizione fiscale. Si tratta di un vantaggio sia per il venditore (che così denuncerà un reddito inferiore) che per l’acquirente (che pagherà meno imposte di registro o di Iva). In tali casi, il fisco ridetermina l’imposta da corrispondere per l’atto di compravendita ed effettua una rettifica in aumento. Ricordiamo che le tasse da pagare per l’acquisto di una casa sono (oltre all’imposta catastale e a quella ipotecaria): l’imposta di registro al 9% del valore dell’immobile (2% se si tratta di acquisto col bonus prima casa) se l’acquisto avviene da privato; l’Iva al 10% (22% per immobili di lusso; 4% se si tratta di acquisto col bonus prima casa) se l’acquisto avviene da una azienda o dalla ditta costruttrice. Rogito con prezzo più basso: posso dire che è uno sconto? Come detto, al contribuente è sempre data la possibilità di dimostrare il contrario rispetto ai sospetti del fisco, di avere cioè ottenuto un’effettiva decurtazione del prezzo di vendita rispetto agli accordi iniziali. Ma è necessario provarlo. In che modo? Purtroppo non esiste altro mezzo se non fornire i documenti a supporto delle proprie affermazioni. Ed è proprio sulla scorta di tali documenti che la Commissione Tributaria – a cui ci si può rivolgere in caso di accertamento fiscale – determinerà se lo sconto è stato reale o simulato. Pertanto è illegittima la rettifica ai fini dell’imposta di registro o dell’Iva se l’Agenzia delle Entrate è stata messa al corrente del fatto che, tra il preliminare di vendita e il contratto definitivo, esiste una differenza di prezzo dell’immobile legata allo sconto riconosciuto dal proprietario venditore. Le prove devono essere documentali In tutto ciò non bisogna dimenticare che, nell’ambito del processo tributario, sono ammesse solo le prove documentali e non i testimoni. Sicché la dichiarazione – sia pure scritta – da parte del venditore con cui questi riconosce uno sconto sarebbe del tutto inutile. Così come sarebbe inutile una scrittura privata (un documento cioè), con data anteriore al rogito, con cui questi riconosce lo sconto se tale documento non ha una data certa. Per la data certa è necessaria la registrazione o l’autentica di firma di un notaio o altro pubblico ufficiale. In assenza di ciò, il contribuente può comunque dimostrare lo sconto ricevuto sulla base di presunzioni, ossia dell’anomalia dell’immobile scoperta solo dopo la firma del compromesso e contestata al venditore con una lettera raccomandata. In altri termini, con una (semplice) diffida che il compratore spedisce al venditore dopo la sottoscrizione del contratto preliminare – diffida che contenga la denuncia di un vizio dell’immobile – è possibile vincere l’eventuale accertamento fiscale per la rettifica del valore della vendita. Fonte: La Legge per tutti

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